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novembre-dicembre 2016

Acquisire start up è quindi spesso un investimento molto costoso con una

bassa percentuale di successo e, spesso, le multinazionali sono considerate il

cimitero degli elefanti delle start up in quanto i manager delle aziende acqui-

site di frequente lasciano le aziende acquirenti non appena il contratto scade,

e così facendo portano con sé ogni estro imprenditoriale.

Se poi le fusioni coinvolgono aziende di nazionalità diversa, sorge il problema

di quale lingua utilizzare. La più grande sfida nel processo d’integrazione sta

quindi nella capacità di comunicare con ecacia senza perdersi negli e€etti

da ‘lost in traslation’. È solo un esempio, e neanche il più rappresentativo, di

come fattori di ordine culturale (a partire dalla conoscenza delle lingue) pos-

sano influenzare la buona riuscita di un’operazione di fusione.

La scarsa attenzione alle persone

Un’altra problematica sensibile è la ‘scarsa attenzione ai temi legati alle per-

sone’. I piani industriali successivi all’integrazione societaria spesso planano

dall’alto, vengono gestiti in collaborazione con società di consulenza strate-

gica e, a cascata, raggiungono i piani intermedi e la base. Un processo quindi

etero-diretto e ‘top-down’ che non può contemplare le aspirazioni e le incli-

nazioni individuali. La strategia non è quindi spesso ben chiara fin dall’inizio

o almeno non viene comunicata in suciente dettaglio.

A doppio filo si lega il tema delle carenze sulle figure di raccordo deputate

a gestire la transizione senza patemi. I rischi non vengono identificati nem-

meno nella fase di ‘due diligence’ propedeutica all’operazione vera e propria.

Qualche responsabilità è da ricondurre anche alla selva di consulenti esterni

(legali, assicurativi, di marketing) che gestiscono ‘l’indotto’ di un’operazione

di fusione/acquisizione.

La sensazione è che però una buona parte delle fusioni che non creano valo-

re per azionisti e dipendenti è da ricercare nelle scarse capacità di chi è alla

plancia di comando. Management poco internazionali, spesso retaggio di un

capitalismo familiare poco avvezzo ad andare all’estero, si mettono al timone

di nuove società senza avere la necessaria caratura per gestire una struttura

di tale portata. A ciò si aggiungono le possibili conflittualità di leadership che

sopravvengono: infatti, il tema delle deleghe è sempre il più delicato.

Infine una motivazione di carattere finanziario: spesso il prezzo è troppo alto. I

multipli riconosciuti alla preda sono sbagliati. E ciò che ne deriva è il fallimen-

to del progetto di costruzione di una nuova entità organizzativa che possa

creare vero valore, essere competitiva sul mercato, arrecare benefici a chi ne

fa parte. Così nella maggioranza dei casi la cartina di tornasole delle fusioni

finisce per tramutarsi nello spauracchio di dipendenti e sindacati.

Nel mezzo: partnership tra gruppi aziendali e start up

Certamente c’è anche una via mediana (spesso un virtuoso compromesso)

in cui i grandi gruppi aziendali si associano a delle start up, e in termini d’in-

vestimento diretto puntano poco su ciascuna di esse oppure, per quanto ri-

guarda i fondi di avviamento del business, stabiliscono partnership limitate.

Al fine di arrivare al cross-selling o ad attività analoghe, queste grandi aziende

instaurano accordi che portano a relazioni commerciali con le start up selezio-

nate. Spesso questo ‘corteggiamento’ è utilizzato per ottenere una maggiore

conoscenza concreta dello specifico mercato, per mettersi poi nella giusta

posizione al fine di poter incrementare i fondi in vista di futuri investimenti

in tale ambito, oppure per inibire i competitor e non farli avvicinare troppo a

queste start up innovative, o addirittura per togliere le start up dal mercato

in vista di una loro successiva acquisizione.

Il lato negativo di questo modello di partnership è che non è mai pienamente

controllabile per la multinazionale. Al contrario, questa partnership è sempre

soggetta ai capricci del leader della start up, che può agevolmente cambiare

rotta a seconda di dove ritiene più appropriato andare.

Amici del canale, sarebbe bello avere una vostra opinione a riguardo: qual è

la strategia migliore per le grandi aziende? Le grandi aziende devono iniziare

a comportarsi come start-up e creare innovazione al loro interno, magari cre-

ando piccoli gruppi di lavoro focalizzati?

(primo.bonacina@soiel.it

)

Primo Bonacina si oc-

cupa d’informatica dal

1984. Ha lavorato con

ruoli di responsabili-

tà per diverse azien-

de, tra queste: 3Com,

Tech Data, Magirus (ora

Avnet), Microsoft, Acer.

Dal 2014 ha creato un’i-

niziativa di consulenza

commerciale, marketing

e imprenditoriale (PBS

- Primo Bonacina Ser-

vices). Segui il suo blog

(www.primobonacina.

com) oppure contat-

talo via e-mail (primo.

bonacina@soiel.it

).