marzo-aprile 2017
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logie o quella dei risultati di business. Tra l’una e l’altra
estremità si trovano categorie di prodotti, applicazioni
e casi d’uso specifici. Il numero delle istanze osservate
aumenta nettamente a mano a mano che ci si sposta
dalle tecnologie ai risultati di business: partendo da una
manciata di tecnologie critiche, in continua espansione,
si sviluppa un insieme più ampio di categorie di prodotti
da cui nascono migliaia di applicazioni legate a milioni di
impieghi specifici differenti, dando origine a un’enorme
molteplicità di risultati di business.
Non tutti gli elementi di questa catena sono smart ma-
chine. Ad esempio, le applicazioni conterranno un mix
di tecnologie ‘smart’ e ‘non smart’. (E alcune aziende
potranno scegliere di evitare le tecnologie delle smart
machine per affidarsi ai sistemi basati su regole; in parti-
colare quando il problema è sufficientemente semplice e
l’opzione basata su regole è ben collaudata e ha dimo-
strato di saper soddisfare esigenze simili per altri utenti.)
Confronto tra smart machine e termini simili
Il termine ‘smart’ è forse meno contestabile degli altri,
ma nessuno di questi è ideale. Le persone hanno una
spiccata tendenza ad antropomorfizzare (cioè ad ascri-
vere caratteristiche umane a entità inanimate). I poeti
parlano di ‘fallacia patetica’ per indicare l’attribuzione
di coscienza, pensieri ed emozioni (pathos) agli oggetti
inanimati. Nel caso delle tecnologie ‘smart’ viene com-
messo lo stesso errore, perché le persone hanno iniziato
ad assegnare a queste macchine caratteristiche umane
che esse semplicemente non possiedono. Le smart
machine non sono in grado di ragionare da sole, non
conoscono il buon senso né possono immaginare nuovi
modi per fare le cose. Non sono le entità fantascientifiche
che oggi vengono rappresentate in molti film (o di cui
si parla nei talk show e sulle riviste patinate). La prima
raccomandazione, perciò, è quella di non applicare la
parola ‘intelligenza’ alle macchine, di qualsiasi tipo esse
siano. Nella letteratura accademica si contano centinaia
di definizioni diverse, spesso contraddittorie, del con-
cetto di ‘intelligenza’. Non esiste una singola definizione
universalmente accettata che possa costituire una base
solida per misurare l’intelligenza delle persone o delle
macchine.
La parola ‘intelligente’ è anche legata impropriamente a
un’altra etichetta antropomorfica, quella di ‘intelligenza
artificiale’. Nel 1955, molti studiosi ipotizzavano di poter
descrivere i processi alla base dell’intelligenza umana e
ANALISI
Fonte: Gartner
Catena del valore delle smart machine
DATI PRINCIPALI
• Le macchine intelligenti possono ottenere risultati straordinari ma rimangono pur sempre macchine, e la loro intelligenza
può agire solo entro un perimetro piuttosto stretto.
• Il marketing (e i media) tendono spesso ad attribuire capacità umane alle macchine, creando spesso confusione tra realtà
e fantasia.
• Le smart machine sanno risolvere problemi complessi, sono esse stesse entità complesse e possiedono una meccanica
interna che non sempre è pienamente comprensibile.
• L’autoapprendimento di una smart machine richiede un lungo processo di training, eseguito su prototipi con l’uso di un
corpo di informazioni molto ampio, a cui deve seguire un accurato processo di testing.
• L’abbinamento tra sistemi tradizionali basati su regole e smart machine riduce i rischi in molte applicazioni, ad esempio
nelle automobili senza conducente.
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