SPECIALE GDPR
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dicembre 2017
segue da pagina 80
Il contratto di trattamento dei dati personali
con il fornitore di servizi cloud
Alle particolarità già enunciate sopra si aggiunga che, nella
pratica, i contratti per la prestazione di servizi cloud la-
sciano poco margine di negoziazione all’impresa-titolare
del trattamento, spesso a causa dell’asimmetria tra il po-
tere contrattuale dei maggiori fornitori di servizi cloud
e la maggior parte delle realtà aziendali, o addirittura
dei privati. Ciononostante, il Gruppo di Lavoro Articolo
29 ha chiarito sin dal 2010 che “lo squilibrio fra il po-
tere contrattuale di un piccolo titolare del trattamento
rispetto a un grosso fornitore di servizi non può giusti-
ficare il fatto che il primo accetti clausole e condizioni
non conformi alla normativa sulla protezione dei dati”.
Si ritiene, dunque, che il titolare che delega il trattamento
dei dati a un terzo, in tutto o in parte, abbia fondamental-
mente quantomeno il potere di decidere se concludere
o meno un contratto con un fornitore. Pertanto, prima
di affidare i dati a un fornitore cloud, l’impresa-titolare
del trattamento dovrà valutare il contenuto del contrat-
to per determinare se il fornitore cloud offre garanzie
adeguate ai sensi del Regolamento.
Cloud, un mondo in evoluzione
Vale la pena ricordare anche alcuni aspetti strettamente
correlati all’outsourcing di processi di business a fornitori
di prodotti e servizi cloud. Come evidenziato dal Garante
per la protezione dei dati personali nella sua mini-guida
“Cloud Computing - Proteggere i dati per non cadere
dalle nuvole”, la tecnologia cloud precede l’attività del
legislatore a livello internazionale. Nel settore del cloud
computing, ancorché da tempo siano molteplici i tenta-
tivi di definire delle regole comuni e uniformi in termini
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di contratti di cloud computing (si pensi al lavoro del
Gruppo di esperti istituito dalla Commissione europea
nel giugno 2013, “Expert Group on Cloud Computing
Contracts”, ma anche a più recenti progetti finanziati
dalla stessa Commissione, tra cui SLALOM), non si ha
ancora una disciplina unitaria né in ambito strettamente
contrattuale né sotto il profilo della protezione dei dati
personali. Gli sviluppi di tale attività volta a uniformare
le diversità oggi in campo sono pertanto da tenere at-
tentamente monitorati.
Infine, per quanto riguarda i codici di condotta, il settore
dei fornitori di servizi di cloud computing merita sen-
za dubbio l’elogio di essere il precursore (ancor prima
della pubblicazione del Regolamento) di una proposta
di codice di condotta sul trattamento dei dati personali.
Si segnala in particolare il codice di condotta promosso
già nel 2011 dal gruppo C-SIG (Cloud Select Industry
Group) istituito dalla Commissione europea e oggetto
di successiva analisi da parte del Gruppo di Lavoro Ar-
ticolo 29, che è stato formalmente approvato lo scorso
maggio 2017 e costituisce il punto di riferimento per al-
cuni dei maggiori fornitori di servizi cloud. Tale codice
di condotta potrà perciò costituire un importante punto
di riferimento e spunto di analisi anche per coloro che,
pur non aderendo, desiderano valutare i parametri di
riferimento del mercato.
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